Pessime notizie Dall’Italia in questi giorni. No, non è la politica, con i suoi balletti. Tutto sommato qualcosa è cambiato: solo poche settimane fa, le grame prospettive lasciavano presagire Silvio Berlusconi come Presidente della Repubblica ed un suo outsider alla presidenza del consiglio. Oppure viceversa, ma, invertito l’ordine, il prodotto non sarebbe cambiato. Nessuna illusione, sarà dura fronteggiare tutte le derive di cinque anni di mala tempora, però è stata spezzata la continuità. E questo è significativo.
L’arresto l’undici Aprile di Bernardo Provenzano, in concomitanza con la fine delle elezioni, lascia pensare; non è dietrologia, bensì memoria dei fatti italiani. Su questo comunque si possono fare considerazioni precise, perché troppo presto; aspetteremo. Il risvolto meramente negativo è la campagna mediatica che si è cucita attorno. Provenzano è diventato soltanto, o quasi, “don Binnu u tratturi”; non è soltanto una questione formale: in questi toni emerge il modo folcloristico d’intendere la mafia. L’idea del mafioso con coppola e lupara a corredo è tramontata da tempo, a mostrarcelo e dimostrarcelo ci sono stati delitti eccellenti, indagini, migliaia di pagine scritte a fronte di inchieste approfondite. Ci vogliono far vedere solo una delle tre teste del mostro. Perché la delinquenza organizzata di cui parliamo, non è “semplice” mafia, ma è Cosa Nostra, con i suoi traffici internazionali di stupefacenti, armi e riciclaggio di denaro sporco. Dubito che l’oligarchia azionaria di Cosa Nostra abbia a che fare con fattorie rurali, cicoria e “pizzini”. E’ impensabile inoltre che i legami con la politica locale, nazionale ed internazionale venga gestita da boss semi-analfabeti. E’ in corso una restaurazione del patrimonio informativo acquisito.
Le inquadrature in primo piano di ricotte, le interviste - definiamole così – ai corleonesi ultraottatenni per sentirsi dire “Provenzano? E’ una brava persona”, l’esposizione del corollario lessicale mafioso, rifanno il verso a certi film. La realtà sembra mutuare dalle pellicole gli spunti, per vendere mediaticamente questa visione; ma è informazione fasulla.
A raccontarci la “storia dell’orso” non sono i soliti giornalisti, immuni al passaggio dall’una all’altra repubblica; non solo. Ci sono gli addetti al settore, con i loro gesti di giubilo, a spendere parole su parole per spiegarci la psicologia del boss. Questa è la mafia che ho sentito raccontare ad Pietro Grasso, che con sicurezza asseriva “Provenzano non parlerà, vedrete”. Continuo a sentirmi dire “dobbiamo accontentarci”; ci pensate però cos’era l’antimafia di Borsellino e Falcone? E quella possibile, e osteggiata, di Caselli?
Dobbiamo accontentarci? Ci facciano vedere prima le altre tre teste del mostro.
01 maggio 2006
Pessime notizie Dall’Italia in questi giorni
Riceviamo e volentieri pubblichiamo un contributo da parte di Manilo B.
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