07 ottobre 2003

Le cose che ho imparato nella vita

Avevo già pubblicato queste righe di Paulo Coelho sull'altro blog questa estate, adesso quelle parole mi risuonano in mente e mi piace riproporvele:

Ecco alcune delle cose che ho imparato nella vita:
che non importa quanto sia buona una persona, ogni tanto ti ferirà.
E per questo,bisognerà che tu la perdoni.
Che ci vogliono anni per costruire la fiducia e solo pochi secondi per distruggerla.
Che non dobbiamo cambiare amici, se comprendiamo che gli amici cambiano.
Che le circostanze e l'ambiente hanno influenza su di noi,
ma noi siamo gli unici responsabili di noi stessi.
Che, o sarai tu a controllare i tuoi atti,
o essi controlleranno te.


Ho imparato che gli eroi sono persone che hanno fatto ciò che era necessario fare,
affrontandone le conseguenze.
Che la pazienza richiede molta pratica.
Che ci sono persone che ci amano, ma che semplicemente non sanno come dimostrarlo.
Che a volte, la persona che tu pensi ti sferrerà il colpo mortale quando cadrai,
è invece una di quelle poche che ti aiuteranno a rialzarti.
Che solo perchè qualcuno non ti ama come tu vorresti,
non significa che non ti ami con tutto se stesso.
Che non si deve mai dire a un bambino che i sogni sono sciocchezze:
sarebbe una tragedia se lo credesse.
Che non è sempre sufficiente essere perdonato da qualcuno. Nella maggior parte dei casi sei tu a dover perdonare te stesso.
Che non importa in quanti pezzi il tuo cuore si è spezzato: il mondo non si ferma,
aspettando che tu lo ripari.
Forse Dio vuole che incontriamo un po' di gente sbagliata prima di incontrare quella giusta,
cosi, quando finalmente la incontriamo,
sapremo come essere riconoscenti per quel regalo.
Quando la porta della felicità si chiude,
un'altra si apre,ma tante volte guardiamo così a lungo a quella chiusa,
che non vediamo quella che è stata aperta per noi.
La miglior specie d'amico
è quel tipo con cui puoi stare seduto in un portico e camminarci insieme, senza dire una parola,
e quando vai via
senti come se fosse stata la migliore conversazione mai avuta.
E' vero che non conosciamo ciò che abbiamo prima di perderlo,ma è anche vero che non sappiamo ciò che ci è mancato
prima che arrivi.
Ci vuole solo un minuto per offendere qualcuno,un'ora per piacergli, e un giorno per amarlo,
ma ci vuole una vita per dimenticarlo.
Non cercare le apparenze,possono ingannare.
Non cercare la salute,
anche quella può affievolirsi.
Cerca qualcuno che ti faccia sorridere perchè ci vuole solo un sorriso
per far sembrare brillante una giornataccia.
Trova quello che fa sorridere il tuo cuore.
Ci sono momenti nella vita in cuiqualcuno ti manca così tanto che vorresti proprio tirarlo fuori dai tuoi sogni per abbracciarlo davvero!
Sogna ciò che ti va;
vai dove vuoi;
sii ciò che vuoi essere,
perchè hai solo una vita e una possibilità di fare le cose che vuoi fare.
Puoi avere abbastanza felicità da renderti dolce, difficoltà a sufficienza da rendirti forte,
dolore abbastanza da renderti umano,
speranza sufficiente
a renderti felice.
Mettiti sempre nei panni degli altri. Se ti senti stretto, probabilmente anche loro si sentono così.
Le più felici delle persone, non necessariamente hanno il meglio di ogni cosa;
soltanto traggono il meglio da ogni cosa che capita sul loro cammino.
La felicità?
Ingannevole per quelli che piangono,
quelli che fanno male,
quelli che hanno provato,
solo così possono apprezzare l'importanza delle persone che hanno toccato le loro vite.

L'amore comincia con un sorriso,
cresce con un bacio
e finisce con un the.
Il miglior futuro? Basato sul passato dimenticato.
non puoi andare bene nella vita
prima di lasciar andare i tuoi fallimenti passati
e i tuoi dolori.

Quando sei nato, stavi piangendo e tutti intorno a te sorridevano.
Vivi la tua vita in modo che quando morirai,
tu sia l'unico che sorride
e ognuno intorno a te piange
.

(di Paulo Coelho)

Autoironia

Quel che segue è un commento che ho scritto ieri su Herzog:
Lo dico sempre a mia moglie, vuoi che io passi meno tempo al computer a scrivere sul mio blog? Si? Fammi scopare!

Lei dice che preferisce che io badi al mio blog anziche alla sua f***.

A mia figlia poi avevo proposto sabato si farci una passeggiata al parco ma lei prontamente mi ha detto che se le avessi preso l'ultima videocasssetta di walt-disney mi avrebbe lasciato in pace al computer.

E' per questo, e solo per questo lo giuro, vostro onore, che mi possono venire in mente polemiche come quella il cui risultato NON stato un aumento delle visite, un aumento dei commenti, un aumento del mio stipendio, o della misura del mio pe***, ma una più ben misera e forse inutile chiusura di BlogOltre.

Penso, a questo punto, che mi restino solo le seghe.

06 ottobre 2003

Perché anche se non lo fossi vorrei esserlo!

Il male peggiore è l'indifferenza, Pietro; a volte un pugno sul muso è da preferirsi allo sguardo disperso di un osservatore distratto. Tutto è emerso, dall'ennesima bagarre, tranne indifferenza; alterigia, sarcasmo, perfidia, ira, persino inopportuna ironia. Gli equilibri non sono quelli che vorremmo, e non riusciamo a determinarli. Per riuscire a discernere spesso dobbiamo usare il metodo sottrattivo. Non sempre riusciamo a carpire cosa è stato, e a volte dobbiamo arrivarci per differenza, eliminando dagli eventi ciò che non è stato. Non c'è stata indifferenza, Pietro, solo eccesso di partecipazione inopportuna e fuor di misura. Questo ha rivelato qualità , nel tuo modo di intendere il blog e l'importanza comunicativa in genere, questo dovrebbe farti riflettere, per non disperdere quello che di buono hai creato, e non è poco. Ovunque deciderai di migrare, osserverò le tue orme, non perché mi sei fratello, ma perché anche se non lo fossi vorrei esserlo.


Le parole di Manilo, prese da un commento sull'altro mio blog, mi fanno capire che VALE la pena eccome se vale la penna di LOTTARE per ciò che si reputa giusto, anche contro i propri amici ed anche a costo di rimetterci il blog!

[I vecchi commenti su TxP]

Un sorriso

...perché qui piuttosto che là
o perché ora piuttosto che allora?

PASCAL, Pensieri

Protagonisti: Io, mia moglie, il nostro Pediatra, la moglie del pediatra.

Quando cinque anni fa nacque la nostra piccola Ada ci ritrovammo da soli ed inesperti a Modena con questo frugoletto ed ogni cosa ci sembrava una montagna insormontabile ad iniziare dalla scelta del pediatra.
Ci facemmo consigliare da amici ma sfortunatamente il medico segnalatoci non poteva prendersi in carico altri piccoli pazienti. Così venimmo messi in lista di attesa.
Il pediatra della piccola Ada si chiama Angelo e nel suo studio veniva allora aiutato dalla moglie Nives. Questa signora modenese mi colpì subito per la sua dolcezza, per il suo sorriso, per gli occhietti piccoli e furbetti. Ci aiutò e ci confortò molto con la sua calma e pazienza, e ad ogni visita non mancava mai di avere una parolina dolce per Ada e una battuta scherzosa con noi.

Dal 3 febbraio di quest'anno la signora Nives non c'è più , morta lì nello studio del marito tra i suoi bambini e i suoi scarabocchi, come chiamavo io i segni che lei metteva nell'agenda per fissare gli appuntamenti.

Oggi abbiamo portato la piccola Ada per una visita dal pediatra, nel tavolo occupato solitamente da Nives solo una foto in cui lei sorride radiosamente, e quel sorriso è riuscito a scaldarmi ancora una volta il cuore.
Ed è per questo che voglio dirle grazie Nives, ovunque tu sia.

17 settembre 2003

Credo nell'amicizia ma non negli amici

Sarà per il carattere, sarà per quel che sarà ma io pur credendo nei valori dell'amicizia diffido degli amici.
Saranno state le transumananze, in giro per la Sicilia prima e per l'Italia dopo, fatto sta che di amici veri ne ho veramente pochi.
E non c'è dubbio che i peggiori tradimenti li ho avuti proprio da coloro che si professavano e che credevo miei amici.
Adesso, da quando sto a Modena, rinchiuso nel bozzolo familiare, navigo a vista in una realtà fatta di molte conoscenze, pochi incontri, vari personaggi.
La parola "amico" è troppo impegnativa . Come la parola "amore".
E la rete dei blog non fa certo eccezione. Incontri, virtualmente tanta, tantissima gente ma pochi amici "veri". Qualcuno cioè disposto ad ascoltarti, magari criticarti, e quando necessario ad aiutarti in uno scambio reciproco alla pari e senza il bilancino del dare-avere che tante amicizie avvilisce in una assurda e ridicola contabilità.
Non è colpa di nessuno, o magari di tutti, è solo la constatazione data dalla mia esperienza.
Si, è vero, qualche fiore può nascere come un "croco in mezzo ad un polveroso prato".
E questo mi conforta e mi basta.

(...e di questo mio desiderio, qualcuno per mesi ne ha approfittato...)

(da ItaliaBlogOltre)

30 giugno 2003

Al di là del soldo

di Manilo Busalacchi

Il Veneto. Ci vivo da quattro anni; mi muovo in un perpetuo slalom tra cose, persone e situazioni.
Non ho scelto questa terra, è vero, ho scelto invece la compagna di vita, che vi abitava, e mi ci sono ritrovato. Si sa, è un mondo a se, un'anomalia rispetto al resto dell'Italia, ma di casi limite ne so qualcosa, dato che la mia Sicilia non brilla per invisibilità e situazioni medie e pacate.


Mi sono fermato più volte, e ho voluto capire, a volte sono rimasto attonito, altre volte inconsapevole e condizionato. Vicenza poi ne è la summa, e non è una gran cosa, il risultato non è una gradevolezza media, ma un affievolimento dei colori. Non siamo nella Verona composta per decreto regio, o nella Venezia fastosa all'insegna della memoria andata, e tanto meno nella Padova polimorfica e vivace. Vicenza riassume i vizi, e la decadenza culturale di un popolo che sta perdendo la sua identità storica, che reagisce e che attacca rantolando nel buio dell'insensato. Eppure i libri di storia parlano di un altro Veneto, che oggi non scorgo, che vorrei amare, ma di cui posso solo constatarne l'assenza.

Oramai non mi stupisco, guardo e ingoio, e continuo ad alimentare una speranza vana. Solo un distratto commentatore, recentemente, poteva stupirsi del maggior numero di incidenti stradali mortali mediamente consumati in Veneto rispetto alla, tristemente, plurititolata Campania. Non mi stupisco no, perché ogni giorno vedo con i miei occhi, schiere d'auto rincorrersi impazzite nell'assurda e terrorizzante presunzione di ragione preventiva. Ai semafori appena verdi, si sfila con accelerazioni degne della migliore Ferrari, e non può esistere certezza, un vecchietto appena in ritardo o un distratto; no, e se accade cavoli suoi.

Migliaia di persone che si muovono in città prese dalla frenesia di fare, di aggiungere qualcosa. Qua si lavora, va bene, ma il benessere è fine a se stesso, non è reinvestito in cultura, in strutture, in strutture sociali. Dialoghi rarefatti, ridotti all'osso, finalizzati al patteggiamento del soldo, perché al di fuori di questa logica, per loro, c'è solo l'improduttività meridionale, il crogiolarsi, il perdere tempo. Mi stupivo le prime settimane, ora non più, quando dal saluto diurno, il buongiorno, si passava di filato, appena dopo le cinque, alla buona notte.

E la sera, la buona sera, dov'è? L'ho scoperto, non c'è, cosa credete, qui si produce, si va subito a casa, cena, TV e via a letto. Domani è un nuovo giorno, di lavoro. Qualcuno mi disse: vedrai, qui non siamo in Sicilia, si lavora, sarai stanco e vorrai andare a letto anche tu presto. E' vero, sono stanco e lo faccio anche io, ma quando voglio io, a volte alle nove di sera, raramente, e a volte alle cinque del mattino, perché no, se ho un libro dinnanzi che mi intriga.

Bisogna lavorare, ben venga, ma a volte la sveglia suona alle cinque e trenta e vado in bici, va bene così, e poi a lavoro, si, puntualmente, ugualmente.
Si parla solo in gruppo, e delle solite cose, del contingente all'insegna del pettegolezzo, del superfluo, che può andar bene, purché non si protragga nel tempo, e non sia l'unico motivo. Vedo coppie, come questa sera, separati da una pizza e muti, non sapevano cosa dirsi. Li ritrovi li, alle sette del pomeriggio, perché domani è lunedì e si lavora. Lavoro, lavoro, un ossessione. Ma dove sono gli sguardi di fuoco? La voglia di vivere, di centellinare le parole, di cavarsi dentro? Scoprirsi, manca questo incipit, manca la voglia e avanza l'indifferenza.

In uno dei comuni più ricchi d'Italia il reddito medio mi vedrebbe ricco e pante, ma per la legge della divisione dei polli è tutt'altra cosa. Ricchi sfondati da una parte, con l'ultima Ferrari a diciotto anni virgola una ora, e dall'altra acomunitari, iperpresenti e additati, con una mela da dividere per tre ogni sera. Ma di che si lamentano, siamo nell'era delle diete, meglio averle gratis, direbbe qualcuno. Teatri, cinema, associazioni culturali, strutture sociali, niente, non se ne parla nemmeno, piuttosto preferiscono investire i soldi in borsa, che se li perdono almeno ci hanno provato.

Tutto sembra fatto contro e non per. Le regole, ossessionanti, non sono quelle che ritrovo altrove, non sono preposte a migliorare la convivenza civile, ma a limitarla, a punirla, in una sorta di piacere sadico e repressivo. Se vai in libreria, alle sette e venticinque, al massimo, devi correre alla cassa o riporre il libro nello scaffale, e via. Non esiste tempo, spazio alle incertezze, piacere per la comunicazione e condivisione di un momento. Esagero? Non so, forse. Quello che mi manca del meridione del mondo è la possibilità di emergere, di potere guardare qualcuno negli occhi, di sferrargli un pugno oggi, ma di diventarne, domani, amico a vita, per la pelle, in un connubio altrove sconosciuto. Lottare, si, la possibilità di farlo per qualcosa, qualcuno, o semplicemente un'idea, piuttosto che contro tutto. Preferisco le contraddizioni, gli estremi, a questa calma piatta inscalfibile.

Vogliamo vivere, volete vivere? Manca il piacere per l'intenso e la capacità di goderne. Se, con la mia moka, riempio l'imbuto con troppo caffè qualcuno sorride con scherno, il solito meridionale, pensa, chissà come sarà concentrato. Che lo facciano come vogliono, loro, che prendano come misura il torbido mare veneziano per dosarlo, che aggiungano quanta acqua vogliono. Ma che smorzino, per favore, quel ghigno.

Questa sera non ce l'ho fatta, rientrando in macchina osservo schiere di girasoli per i campi in due filari ad avvolgere la strada, un giallo intenso in combutta con il sole che a quell'ora li intingeva. Ho un sussulto, per un attimo fermo il mio sguardo, li vedo tutti rivolti allo stesso lato, con la faccia, dal grande occhio nero e le ciglia gialle, opposta al sole! Ma che gli avete fatto? In qualunque parte del mondo, dalla notte dei tempi, un girasole è sempre rivolto al sole, me lo hanno insegnato in seconda elementare, e fino a ieri ci ho creduto. Qui no, i girasoli girano le spalle al sole. Sono stanchi anche loro? Non hanno voglia di corrispondenze, di vivere tra i lancinanti raggi e, quando è l'ora, di morire? Sono di plastica? Li ha posizionati uno per uno Galan rispettando, immagino, così l'unico impegno elettorale oltre al muso duro contro qualunque cosa è extra-Veneto? Li avrei presi uno per uno, oggi, li avrei falciati, affinché la vergogna della natura non fosse palese e definitivamente incombente. Li avrei ingoiati pur di farli sparire, affinché Vincent Van Gogh non se ne abbia a rivoltare sulla tomba, nel dubbio d'aver sbagliato una prospettiva.

Poco più in la, la solita scritta: Veneto Stato, che qualcuno scrive di giorno e di notte qualcun altro ritocca, storpiandola. Quest'oggi ho visto qualcosa in più, e di meglio, qualcuno ha anteposto alla parola "Veneto" il segno meno e a "Stato" il segno più. Meno Veneto e più Stato, quindi, sono d'accordo, nell'intento, però, che questa regione diventi fiera di essere italiana e che non abbia timore a mostrarlo. Vorrei essere anch'io fiero di vivere in Veneto, vorrei amare questa terra come la mia Sicilia. Vorrei che qualcuno me ne desse la possibilità, vorrei lottare per questo. Vorrei che qualcuno avesse la voglia di lottare al mio fianco, al nostro fianco.
Al di la del soldo, al di la dell'interesse.