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SANREMO 2006
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Ma dove sono le canzoni?
di Mina
(da La Stampa del 4/3/2006)
Semplicemente. Sanremo non è più il Festival della Canzone Italiana, competizione canora, tradizione semisecolare di un popolo, appuntamento audiovideo imperdibile.
Lo sforzo artistico dei responsabili si sperde tra conservazione e innovazione, senza coraggio e con un po' di supponenza. Tanto lo guarderanno tutti. Il risultato di mesi di scelte si banalizza nella rappresentazione, come se il massimo dell'impegno fosse stato profuso nei preparativi in cucina da cuochi e maggiordomi di prim'ordine e la cena fosse poi più che frugale, quasi scadente.
Un consommé di dado, due grissimi senza contorno, un caffè di miscela Leone. E non basta. Tra una portata, si fa per dire, e l'altra un tempo di attesa non giustificato e comletamente a carico dei commensali.
Con una similitudine fin troppo scontata, proviamo ad immaginare la telecronaca di una gara di slalom in cui tra un concorrente e l'altro passassero lunghi minuti riempiti da commenti sul colore rosso e blu dei paletti o sui consumi dei motori del gatto delle nevi usato per preparare la pista.
Delle maltrattate canzoni sembra non importare niente a nessuno. Gli stacchi, i tempi, gli imbarazzi, le imprecisioni, i rimorsi, le delusioni, le false modestie, gli spot, le comparsate diventano clou ma, se non ricordo male, non sono canzoni.
Le melodie e le parole in esse incastrate e le voci ad esse deputate provano a farsi riconoscere la priorità presunta e dovuta. Mission impossible.
Sfarfallano soltanto tra molto nero lucido, qualche inutile demoralizzante interprete simultaneo di verità d'oltreoceano, troppe autocritiche indifferentemente intercalate ad autocelebrazioni.
In un clima interrogativo-depresso gli attori, tutti apprezzabili per l'amor di Dio, e gli spettatori dipanano la lungaggine senza farsi male, senza rischio. Un unico brivido è palpabile e riconoscibile. Trattasi dello sguardo di Del Noce che non sa se ridere o demoralizzarsi per sempre.
Conficca la spina dorsale nello schienale della poltroncina. Vorrebbe farsi ancora più piccolo o scomparire. Sembra dissociarsi. Qualcuno col cellulare acceso e sintonizzato con l'Auditel potrebbe comunicargli un senso di speranza o di consolazione, ma ho paura che neppure questo sia garantito.
Mi aspetto che pianga o che si picchi un pugnino sul ginocchio al grido di "Quanto mai!". La frittata è fatta ma, come dicevo, nepure quella è entrata nel menu. A noi non rimane che l'inno per antonomasia. "...Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte, l'Italia chiamò, sì".
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