25 aprile 2005

Cibi

Il mio rapporto con il cibo non è mai stato facile. I miei gusti sebbene semplici sono difficili è più facile fare l'elenco di quello che accetto di mangiare che il resto. Questo mio atteggiamento nei confronti del cibo si è trasformato nel corso del tempo in una serie di intolleranze più o meno esplicite o supposte e nella "patologia" chiamata sindrome del colon irritabile.

Se ognuno di noi è quello che mangia io devo essere molto, molto, complicato!

Le cose che il mio colon irritabile proprio non sopporta sono i cibi preconfezionati, basta una piccola traccia di glutammato monosodico (esaltatore di sapidità) per crearmi problemi intestibali enormi. Per non parlare poi di coloranti, conservanti, edulcoranti.

A questo punto direte voi che basta leggere l'etichetta. A leggere il libro di Felicity Lawrence "Non c'è sull'etichetta. Quello che mangiamo senza saperlo" (Edizioni Einaudi) le cose non stanno proprio così.

Scrive, a proposito di questo libro, Raffaele Panizza giornalista de la Repubblica nell'ultimo numero de "D-la Repubblica delle Donne":
E in effetti senza saperlo si scopre che, decisamente senza saperlo, mangiamo tutti i giorni ogni tipo di veleno, alla faccia delle rassicurazioni sui controlli e sulle norme relative alla tracciabilità dei prodotti entrate in vigore lo scorso gennaio: pesticidi che rischiano di modificare la struttura dell'utero femminile; grassi, zuccheri, olii e amidi nascosti o super raffinati che aumentano l'incidenza di obesità e problemi cardiovascolari; coloranti cancerogeni come il Sudan 1 - messo al bando dall'UE nel 2003 e oggi al centro di uno scandalo nel Regno Unito - usato per adulterare la polvere di peperoncino contenuta nella salsa worcester
La Lawrence nel suo libro non va molto per il sottile:
Quando si parla di mercato globale dei prodotti l'allarmismo è ampiamente giustificabile. Occorre essere in possesso di un dottorato per interpretare le etichette. Secondo la legge europea, se un ingrediente è presente per meno del 2% in un prodotto non è obbligatorio indicare come è stato ottenuto. Si può leggere "salsa di pomodoro", senza sapere con quali additivi, o amidi lavorati, o coloranti questa è stata davvero prodotta.
E non ci si salva nemmeno con gli alimenti freschi:
Di solito l'insalata in busta viene lavata dentro vasche con una percentuale di cloro dieci volte superiore a quella di una piscina olimpionica. Per essere conservata, viene posta in un'atmosfera protetta, con ossigeno al minimo e anidride carbonica al massimo.[...] Questo procedimento ne distrugge gran parte delle proprietà nutritive.
Vi risparmio altre chicche di questo genere e sebbene io non sia per niente un salutista o igienista comprendo come nell'era del consumismo e dei cibi precotti, congelati e oramai anche predigeriti noi siamo solo delle cavie-consumatrici dell'immenso ipermercato che è diventata la Terra.

L'etica non è commestibile, non è confezionabile, non è riciclabile quindi va tra gli scarti destinati alle discariche.

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