Se si lavora con persone che non ti chiedono "come stai" quando torni dopo un giorno di assenza perché stavi veramente male non è che si può pretendere che uno abbia una idea del proprio ambiente di lavoro idilliaca pur valutando tutti i pro e i contro.
Quello è il tuo lavoro quello che ti permette di vivere si dice ma poi riascoltando le parole di Silvano Agosti pensi "Eppure quanta vita mi ruba il lavoro?" ed io di vita ne ho una sola!
E sono i piccoli accadimenti che portano in un periodo di cambiamenti come è la primavera a porsi delle domande a mettersi in discussione a sentirsi un po' a disagio "come un croco in mezzo ad un polveroso prato".
Poi, in mezzo al tuo trambusto, ti capita anche di leggere un post come questo di un inedito Giulio-Zu-Pianese hai l'impressione che la tua malinconia vada al di là della tua personale situazione pensi che sia proprio insita nella natura umana che quando "muta" si concede una pausa per riflettere.
Quale direzioni possono prendere queste riflessioni non lo so. Certo è che ci sono cose normali che in tempi normali nemmeno noti e sulle quali ridi o che ti sforzi di ignorare e che invece quando tutto intorno a te si trasforma ti fanno pensare.
Sono convinto che gli uomini e le donne che non sentono il peso del proprio mutare almeno un paio di volte l'anno non possano dirsi coscienti della propria esistenza e consapevoli.
Anche se devo riconoscere che la consapevolezza piena di se e degli altri è qualcosa che temo sia al di fuori della portata dei nostri pur sviluppati sensi di primati, bipedi pensanti.
Ma a me basterebbe essere cosciente del senso della mia esistenza smontata di tutti gli stereotipi che la compongono. Forse però in tal modo perderei il gusto della ricerca. Non so, unica certezza è che tra poco avrò un anno in più e non potrò per la quarantunesima volta farci nulla.
(L'immagine è di Aldo Zanetti)